La parola, specialmente quella che evoca immagini plastiche, è talmente potente che fa vivere delle vere e proprie esperienze. Per l’inconscio tra il vivere un’esperienza nella
realtà o semplicemente immaginarla (in modo dinamico ed emotivo con l’aiuto del linguaggio immaginifico) c’è poca o nessuna differenza.
“La Parola vissuta…
ci ha ri-dato vita,
rendendoci liberi da noi stessi,
dai condizionamenti umani,
dalle circostanze esterne”.
(Maria Voce - Presidente Opera di Maria - Rocca di Papa 21-09-11)
Il nostro intervento tratterà la “Parola” come protagonista principale in psicoterapia,
considerandola all’interno di essa, come un vero e proprio “Dono”.
A questo proposito ci agganceremo a quanto suggerisce una scuola terapeutica (quella
ericksoniana) a proposito dei doni da parte dei pazienti come il dono della loro storia, e in
particolare il dono della loro capacità a condividerla, per arrivare grazie ad una atmosfera
di mutua influenza, a sottolineare l’estrema importanza del fatto che anche lo
psicoterapeuta è in un atteggiamento di dono in psicoterapia non solo e non tanto per le
parole curative che utilizza ma soprattutto per come si pone nei confronti del paziente
stesso, perchè in ultima analisi, è la conversazione terapeutica e non lui, la vera causa
della trasformazione del malessere in benessere nel paziente.
Com’è ovvio, la conversazione terapeutica avviene attraverso l’uso di parole, tant’è che
agli inizi della psicoterapia moderna, una delle primissime pazienti di Sigmund Freud,
forse la più famosa fra tutte, la signorina Anna O. confidava al suo giovane medico
viennese, che ciò che stavano facendo si poteva definire come una: “Talking Cure”, cioè
una “cura attraverso le parole”, e la psicoterapia è, propriamente, una cura con le parole,
il che non significa però, una “cura con le chiacchiere”. Dunque parole e non chiacchiere, e se focalizziamo l’attenzione sulla parola offerta dal
paziente, notiamo che la terapeuta ericksoniana Michele Ritterman considera il sintomo
del paziente come un “dono”, come una “perla prodotta dall’irritazione” e lo caratterizza di
connotazioni positive poiché adempie a molteplici funzioni secondo la particolarità
dell’individuo.
Invece se focalizziamo l’attenzione sulla parola offerta dallo psicoterapeuta noi vediamo
che uno dei modi più efficaci, per contribuire alla formazione di questa conversazione
terapeutica, è l’utilizzo del cosiddetto “linguaggio immaginifico”, che è tra le sue varie
sfaccettature un particolare modo di parlare attraverso le “metafore terapeutiche positive”
volte alla stimolazione di un atteggiamento creativo e risolutivo spesso autoironico nei
confronti del mondo e della realtà.
Certamente la psicoterapia intesa come “generica” cura attraverso le parole, è vecchia
quanto il mondo, basti pensare: agli sciamani del Paleolitico che ritualmente dipingevano
animali da caccia sulle pareti di caverne a scopo propiziatorio, ai sacerdoti astronomi dei
sumeri che scrutavano i destini degli uomini osservando il cielo stellato, ai sacerdoti
maghi degli antichi egizi che curavano scacciando malocchi e fatture con gli incantesimi e i
sortilegi, agli ispirati profeti di formazione talmudica e ai saggi rabbini di formazione
cabalistica degli antichi ebrei, agli indovini oracolari degli antichi greci che usavano
l’incubazione dei sogni nei loro templi, agli eremiti Padri spirituali del deserto pieni di
saggezza ascetica dei primi secoli del cristianesimo, ecc.
Alla luce di quanto detto sinora, si può dire che “Tutto è Parola” oppure che “La Parola è
Tutto” . Il termine stesso di “Mito” deriva dal greco ‘mythos’ la cui radice ‘my’ si riallaccia
ad un significato di ‘mormorare’, ‘emettere suoni con la bocca’, ‘parlare’: mythos infatti in
greco equivale, nello stadio più antico a ‘discorso’. “In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio”, (Gv. 1,1) così si esprime la tradizione giudaico-cristiana ed
il ‘Tao’ ha un valore simile per gli antichi cinesi, così come ‘Brahman’ per gli Indù.
Lo stesso Platone esaltava l’efficacia terapeutica della parola, tant’è che nei suoi
“Dialoghi” troviamo scritto appunto: “La parola è un potente sovrano, perché con un corpo piccolissimo conduce ad opere
profondamente divine, infatti essa ha la capacità di cancellare la paura, di infondere la
gioia e di intensificare la compassione”. (1)
La parola, specialmente quella che evoca immagini plastiche, è talmente potente che fa
vivere delle vere e proprie esperienze. Per l’inconscio tra il vivere un’esperienza nella
realtà o semplicemente immaginarla (in modo dinamico ed emotivo con l’aiuto del
linguaggio immaginifico) c’è poca o nessuna differenza. Quindi in generale la psicoterapia
e in particolare la psicoterapia ipnotica è l’arte di stimolare idee creative con un
appropriato linguaggio immaginifico in un particolare stato di coscienza che pare correlato
a una prevalente attivazione dell’emisfero destro rispetto all’emisfero sinistro.
Ed un autentico maestro che si esprimeva utilizzando il linguaggio immaginifico fu senza
alcun dubbio rabbi Gesù di Nazareth, il quale con le sue 35 parabole evangeliche
presentava una psicodinamica evolutiva di crescita e di superamento. I simboli di queste
parabole sono presi dalla natura e dalla vita quotidiana:
“seme, piante, pesca, lievito, denari, convivi, relazioni varie (tipo: padre-figlio, debitorecreditore,
padrone-servo, pastore-pecore, ecc.).
Riteniamo che gli interventi di Gesù di Nazareth non erano limitati solo alla guarigione del
corpo “alzati e cammina” ( Mc 2,11) o alla guarigione dello spirito “i tuoi peccati ti sono
perdonati” (Mc 2,5) ma anche diretti alla psiche, e che tra i vari mezzi che egli ha utilizzato
per il benessere psicologico si può tranquillamente includere la parola attraverso il
linguaggio figurato e le parabole come quella del seme (Mc 4,4-8), dei talenti (Mt 25, 14-
30), della trave e della pagliuzza (Mt 7, 3-5), del figliol prodigo (Lc 15, 11-32), ecc.
Non vogliamo affermare che Gesù di Nazareth abbia fatto della psicoterapia con il
linguaggio figurato delle parabole, di fatto però i grandi maestri della psicoterapia hanno
usato abbondantemente il linguaggio immaginifico per incidere meglio in senso terapico
nella sfera psichica. Insomma la Psicoterapia è sempre esistita come realtà umana,
ovviamente con modi e finalità diverse ma tutte accomunate dall’utilizzo della “parola”
intesa come dono terapeutico e non soltanto come semplice strumento della coscienza
umana, un dono terapeutico con speciali capacità trasformative, tant’è che Freud nella
sua “Autobiografia” scriveva:“Le parole e la magia erano in principio una sola cosa, e anche oggi le parole conservano
gran parte del loro magico potere. Usando solo parole uno di noi può dare a un altro la più
grande felicità o causare la più profonda delle disperazioni; con le parole l’insegnante
trasmette la propria conoscenza agli studenti; con le parole l’oratore cattura il pubblico e
ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole evocano emozioni e sono lo strumento
universalmente utilizzato per influenzare i nostri simili”. (2)
Per cui se si è più coscienti del potere delle proprie parole, si è più attenti a ciò che si dice.
Non ci è mai capitato di dire a noi stessi in un momento di scoraggiamento: “Perché non
me ne va bene una? Perché non riesco a ottenere ciò che voglio?”
Questo dialogo interiore negativo contribuisce a creare proprio quelle condizioni di cui ci
lamentiamo e come disse un saggio orientale:
“Siete prigionieri della rete delle vostre parole”,
E di questa rete di parole ecco cosa ne pensava il grande psicoanalista Carl Jung
quando, nel suo diario segreto il Libro Rosso nel lontano 18 gennaio del 1914, così
appuntava:
“…Si tratta di una ragnatela di parole? Se è così, allora una ragnatela di parole è l’inferno
per chi vi resta impigliato. Esistono infernali ragnatele di parole, mere parole, ma che cosa
sono le parole? Sii cauto con le parole, sceglile bene, prendi parole sicure, parole prive di
appigli, non tesserle l’una all’altra, affinchè non ne nasca una ragnatela, perché tu saresti il
primo a restarvi impigliato. Infatti le parole non sono semplici parole, ma hanno significati
per i quali sono impiegate. Attraggono significati come ombre demoniache. Con le parole
trasporti in alto il mondo infero. Poiché le parole implicano dei significati. Con le parole
sollevi il mondo infero. La parola è quel che vi è di più futile e di più potente. Nella parola
confluiscono il vuoto e il pieno. La parola è perciò un’immagine di Dio. La parola è quanto
di più grande e di più piccolo l’uomo abbia creato, proprio come ciò che opera in modo
creativo attraverso l’uomo è esso stesso quanto di più grande e di più piccolo”. (3)
Tornando alla parola, qui intesa come dono del terapeuta, e cioè il linguaggio
immaginifico, un criterio generale che guida la sua applicazione è il seguente:
“La suggestione è quando la parola si fa carne”. La parola, specie quella che evoca delle immagini plastiche, è talmente potente che fa
vivere delle vere e proprie esperienze, ed è per questo che è sempre valida la seguente
legge psicologica:
“Ciò che io credo vero è più vero di ciò che è vero”.
Una legge psicologica che il più grande ipnotista di tutti i tempi, faceva sua
quotidianamente, quel Milton Erickson considerato l’uomo per antonomasia che guariva
con la parola, perché la parola era il suo utensile giornaliero, il suo strumento chirurgico,
tant’è che nei suoi interventi ipnotici ripeteva spesso:
“La parola è la mia voce che ti segue e ti accompagna, perché tu possa proseguire con
fiducia e senza timore. Voglio portarti a scoprire cose nuove e positive che non conoscevi,
ma che ti appartengono, accompagnarti fin là dove devi arrivare e poi lasciarti proseguire
con tutto quello che è emerso dentro di te”. (4)
Milton Erickson aveva una fiducia incrollabile nella bontà di fondo dell’essere umano, fino
al punto d’incoraggiare la psicoterapia a muoversi verso l’enfasi sul benessere e sul
potenziale personale perché era più che mai convinto che lo stato naturale di un essere
umano fosse quello di essere: “sano, ricco e saggio” e di vivere la vita come un evento
gioioso, tant’è che frequentemente ai suoi pazienti in trance ipnotica rivolgeva parole del
tipo:
“Quando guardi un giardino puoi guardare i fiori o le erbacce”.
E riflettendo non poco, su come permettere al saggio e positivo inconscio di esprimere
tutta la sua potenzialità, siamo partiti da una semplice considerazione che riguarda il
rapporto della Fisica con la Psicologia, e cioè che come in Fisica esiste una legge che in
un certo senso è in grado di riassumerla almeno a livello di immaginario collettivo ed è la
legge scoperta da Albert Einstein, sull’energia uguale al prodotto tra la massa e la velocità
al quadrato, E=mc², (una formula famosissima che non ha bisogno di spiegazioni), così
anche in Psicologia sembra esistere una legge che in un certo senso la riassume, ed è
una legge che potrebbe presentarsi in questo modo: K=v+a.
Cosa significa? Significa che il nostro Stato, cioè la nostra condizione psico-fisica,
rappresentato dalla lettera “K” che è la nostra Cenestesia fisiologica dall’inglese
“Kinesthesis”, corrisponderebbe alla sommatoria tra tutto ciò che è visivo nel senso diimmaginare o di vedere (ecco il perché del simbolo “v”), con tutto ciò che è auditivo nel
senso di ascoltare le parole che sono esterne a noi stessi o le parole che invece noi
diciamo a noi stessi o agli altri (ecco il perché del simbolo “a”).
Già duemila anni fa Epitteto diceva che:
“Non sono le cose in sé a farci ammalare bensì le opinioni che abbiamo sulle cose”,
e le opinioni come i giudizi non sono altro che pensieri o autodichiarazioni, cioè tutto ciò
che immaginiamo visivamente e ci diciamo a noi stessi su qualsiasi cosa. Quindi il nostro
benessere dipende esclusivamente da ciò che vediamo o immaginiamo e da ciò che
ascoltiamo o ci diciamo, e Gesù di Nazareth grande esperto di parole, lo sapeva
benissimo tant’è che all’obiezione sul perché egli parlava in parabole, ecco come
rispondeva:
“A voi è stato dato il mistero del Regno di Dio, ma a quelli che sono fuori, tutto è proposto
in parabole, affinchè guardino bene ma non vedano, odano bene non intendano…” (Mc 4,
11-12);
“Per questo io parlo ad essi in parabole, perché vedendo non vedono e udendo non
intendono, né comprendono” (Mt, 13, 13)
Per concludere, possiamo sottolineare che:
“Tutta la psicoterapia è parola ma non tutta la parola è psicoterapia”.
E questo perché, la parola che garantisce veramente la psicoterapia è quella che
scaturisce dal dono di sé o dal sacrificio di sé, stando a quanto scrive Carl Jung nel suo
libro “Il simbolo della trasformazione della messa”:
“… il poter sacrificare se stessi dimostra il possesso di sé. Nessuno può dare quel che non
ha…Con il sacrificio dimostriamo di possederci, poiché il sacrificare non è un lasciarsi
prendere, bensì una conscia, voluta cessione che dimostra che possiamo disporre di noi
stessi, cioè del nostro Io…questa perdita intenzionale considerata da un altro lato, non è
una vera perdita bensì un guadagno… per mezzo di questo sacrificio noi conquistiamo noi
stessi, perché possediamo soltanto quello che diamo”. (5)Per cui ogni paziente donando la propria storia nella relazione terapeutica, solo per il fatto
stesso di parlarne ne prende possesso, e così ogni terapeuta a prescindere dall’indirizzo
scolastico che lo caratterizza, è continuamente sollecitato ad essere “congruente” con le
parole curative di cui fa dono al paziente. Ed anche lui, per il solo fatto di parlarne, ne
diventa possessore, ed entrambi, grazie a questi rispettivi “doni di sé” vanno a
caratterizzare le loro specifiche “identità”.
Due identità che ci dicono che non è tanto lo psicoterapeuta con la sua competenza
tecnica ma è il dialogo, che si instaura con il paziente, attraverso: una fiduciosa alleanza,
un saldo rapport, un transfert analitico, un legame di empatia, una partecipazione emotiva,
ecc., che fa guarire, sì perché è il “rapporto che guarisce” e solo lui e nient’altro, solo una
“relazione di reciprocità”, ha funzioni terapeutiche.
Quella relazione di reciprocità fatta solo di parola, la quale una volta che diventa “Parola
vissuta…”, riesce come dice la scritta sullo schermo: “…a ri-dare la vita, a renderci liberi
da noi stessi, dai condizionamenti umani e dalle circostanze esterne”.
Non a caso Jung racconta che quando Freud gli chiese quale fosse la sua opinione sul
transfert presente in un trattamento analitico, egli rispose dicendo che per lui
rappresentava l’alfa e l’omega dell’analisi. Allora Freud si rese conto che Jung aveva
capito tutto, e glielo disse espressamente con una lettera del 6 dicembre 1906 dove
scrive:
“…è in sostanza una cura mediante l’amore ed è il transfert che ne fornisce la prova più
solida”.
Così, senza saperlo, era nata la psicoterapia su basi scientifiche, la quale crescendo e
sviluppandosi sempre di più negli anni, è riuscita grazie al genio di Milton Erickson, forse
ad andare oltre se stessa per realizzarsi compiutamente nel portare la parola che
guarisce in senso “donativo” alla sua massima espressione, e la figlia Betty Alice Erickson
ne era più che convinta quando scriveva:
“Una delle incredibili qualità di papà era la sua abilità di invitare in modo sincero le altre
persone a connettersi con lui. Questa presenza, questo legame non è propriamente
psicoterapia, ma è alla base della guarigione. Si trattava di papà che accedeva al suo
amore puro e incondizionato per le persone e alla sua fiducia in loro, mettendo questo amore e questa fiducia, per dirla così, tra lui e loro. Se accettavano questo da lui, la
connessione si stabiliva. Se non lo facevano, andava bene lo stesso, perché la
connessione esisteva comunque. Papà sapeva bene che la vera gioia è nel dare. Non
c’era alcun ‘Devi prenderlo, voglio che tu lo prenda’, e nemmeno ‘Mi accorgerò se lo
prenderai’. Questo faceva sì che per l’altra persona fosse perfettamente sicuro prendere,
sentire, provare e toccare quell’amore puro e quella fiducia. Era come se dicesse: ‘Ecco
quì. Voglio darti questo. Se lo prendi, è meraviglioso. Ma se non lo prendi, va bene
ugualmente, perché è qui, sul tavolo. Provo gioia nel dare. Magari lo prenderai la prossima
settimana, il mese prossimo, l’anno prossimo, o magari mai. Ma è qui, e lo dono
liberamente’…”. (6)
Pasquale Ionata
NOTE BIBLIOGRAICHE
1) Platone, Gorgia in Opere, vol.1, Laterza Bari 1974, pagg.1131-1246
2) S.Freud, La mia vita-La psicoanalisi, Mursia Milano 1982, pag.76
3) C.Jung, Libro Rosso, Edizioni Boringhieri Torino 2010, pagg.298-299
4) M.Erickson, La mia voce ti accompagnerà, Astrolabio Roma 1983, pag.25
5) C.G.Jung, Il Simbolo della Trasformazione della Messa, Opere , vol. 11, Bollati
Boringhieri Editore, Torino 1979, pp.247-252
6) B.A.Erickson-B.Keeney, Milton Erickson: un guaritore americano, Edizione
Dialogika Milano 2011, pagg.26-27
Pasquale Ionata