L'identità umana é complessa ed é legata tanto al soggetto come al contesto sempre in evoluzione. Si sviluppa lungo la vita, avendo un nucleo aggregativo che si mantiene costante ed assicura quella continuità per la quale uno si riconosce e viene riconosciuto. La costituzione dell'Altro e costituzione dell'Io è dal punto di vista fenomenologico due facce dello stesso processo, che è all'origine della soggettività dell'io come della oggettività del me.
Questi sono i presupposti della costruzione dell’identità, di un percorso che si svolge nel tempo. La comunità diviene così l’ideale orizzonte di risposta di quella che si presenta come un’esigenza fondamentale dell’individuo, il bisogno di riconoscimento: “Avere un’identità” significa, infatti, non solo riconoscersi nelle azioni che si sono compiute nel corso del tempo o nell´”immagine” di noi, da noi stessi articolata, ma anche essere riconosciuti in un mondo sociale. Questa prospettiva consente di raggiungere in maniera nuova la questione dell’identità e della costituzione del Sé. Parliamo di un’identità del soggetto non pensata solo in termini di una medesimezza che resta invariata nel tempo (identità-idem), ma anche come quella di un ipse capace di rimanere sé (per esempio attraverso la promessa) ma con i cambiamenti che potranno avvenire in rapporto con gli altri. Il concetto è di un’«identità narrativa», capace di legare insieme, attraverso i racconti con cui il soggetto stesso si narra, queste due dimensioni dell’identità. Allora al riconoscimento del Sé mediante il Sé, va affiancato il problema del riconoscimento del Sé mediante l’altro, arrivando al riconoscimento come atto reciproco. La questione dell’identità passa quindi attraverso l’esperienza del riconoscimento (inteso essenzialmente come «esser riconosciuti») eppure del dono. Il vero e proprio emblema del mutuo riconoscimento evidenziando la struttura costitutivamente relazionale e intersoggettiva del soggetto aperto per struttura all’alterità.
L´IDENTITÁ SECONDO LA TEORIA COGNITIVO-POSRACIONALISTA IL RICONOSCIMENTO COME COSTITUTIVO DELLA PERSONA
L’identità del soggetto implica in modo costitutivo il riconoscimento: «conoscere se stesso» per l’essere umano significa sempre riconoscersi attraverso la mediazione dell’alterità (nelle varie sfere in cui essa si manifesta: il tu, il contesto storico, i posti di appartenenza, la famiglia, il linguaggio, le istituzioni ecc.). La stima di sé costituisce il risultato di un doppio movimento: il movimento statico dell’io verso l’altro, nella forma della sollecitudine, e il movimento di ritorno del soggetto al sé, attraverso il riconoscimento dell’altro. Il dono viene ad essere la espressione del mutuo riconoscimento e viene ad evidenziare la natura relazionale del individuo.L’ IDENTITÁ PERSONALE
Per conoscere se stesso il soggetto ha di riconoscersi come protagonista di azione e allo stesso tempo deve essere impregnato di responsabilità e capace di attuare l´identità narrativa. Il soggetto così arricchito prende coscienza del ruolo della memoria (passato) e della promessa (compromesso con il futuro) nel riconoscimento di sé giacché le due referenze le sono costitutive, sviluppando le sue capacità per esercitare la sua libertà positiva. L’identità personale corrisponde ad un processo che prende forma nella relazione reciproca fra il susseguirsi del nostro sentirci vivere e la sua continua ricomposizione in una connessione di significati. Queste due dimensioni corrispondono a due modi di percepirsi nella continuità del vivere. Da un lato il senso di "permanenza di me" nella molteplicità delle situazioni, dall'altro il senso di "coesione di me" che si produce attraverso l'ordinamento delle mie esperienze in una configurazione storica coerente (Ricoeur, 1990). Arciero descrive le due dimensioni del Sé così: da un lato, «la per-cezione cosciente, e quasi “condensata”, della propria continuità [medesimezza], indipendente dalle situazioni contingenti; dall’altro, la coscienza immediata del proprio accadere legata alle circostanze [ip-seità]». Queste due dimensioni si relazionano in maniera differente a seconda del soggetto e della fase di vita che sta attraversando: 1) Nel caso della medesimezza (sameness) “pattern ricorsivi di pre-comprensione emotiva”, o modelli precostituiti, sedimentati nel corso dello sviluppo attraverso la reciprocità con un’alterità significativa, secondo cui interpretare gli eventi; 2) Nel caso dell’ipseità (selfhood) “stati affettivi momentanei” legati agli eventi. A definire l´orientamento nello sviluppo della dinamica medesimezza/ipseità è il rapporto stabile, bilanciato e articolato sulla prossimità/distanza da á una base sicura di attaccamento emozionale.4 Se i bambini che ricevono una risposta affettiva coerente e prevedibile dai genitori alla loro richiesta di prossimità, probabilmente svilupperanno una capacità maggiore di discriminare il “flusso emotivo interno” e quindi la propria esperienza da quella degli altri, stabilendo una forte demarcazione. Nei cambiamenti della vita quotidiana tenderanno a conservare “il senso di permanenza del sé” attraverso la focalizzazione sul proprio stato interno. Invece i bambini che ricevono risposte dai genitori ambigue e variabili, difficilmente riusciranno a differenziare le proprie emozioni e a porre un vero confine fra sé e l’altro. La loro identità si svilupperà polarizzata sull’ipseità. Siccome questi bambini avranno una scarsa riconoscibilità degli stati emotivi interni, svilupperanno delle risorse cognitive, che come un radar, potranno captare i segnali esterni e modellare su questi il proprio sentire ed agire (Reisman, cit. in Arciero). Sono i cosiddetti bambini “outward”. Vittorio Guidano segnala che "il significato personale è un’attività che dal inizio dello sviluppo umano corrisponde ad un processo di sequenzializzazione di eventi significativi. Sequenzializzare i successi della vita in immagini e scene significative, significa interpretarli e darli una trama narrativa che diventerà la propria storia. Già nelle prime tappe della vita la relazione affettiva con una persona corrisponde alla progressiva organizzazione dell’ambito emotivo. Per questo possiamo dire che la reciprocità è stata da sempre parte della costituzione ontologica dell’uomo e il processo di reciprocità e che nelle sue molteplici forme s’intreccia nel ciclo della vita componendo e ricomponendo l´identità propria.FORME DI RICONOSCIMENTO
L’Altro da co-produttore della mia identità, se non rispetta la libertà e la diversità altrui, può diventare addirittura minaccia per la sopravvivenza della mia soggettività. Le psicopatologie derivate della mal intesa reciprocità ci mostrano quanto sia necessario avere chiaro cosa significhi questa. Il soggetto desidera essere riconosciuto come degno di stima da parte degli altri. Al di là delle espressioni sociali del riconoscimento, è l’affermazione della dignità stessa della nostra umanità ad essere in questione. Questa forma di reciprocità si distingue da un semplice desiderio di affermazione vitale di tipo egoistico dove non partecipa essenzialmente l’altro. Il perdono pure si trova collegato con il dono giacché ambedue esprimono forme del riconoscimento. Giampiero Arciero ci introduce nella considerazione che riconoscendo l´altro si riesce a stabilizzare il proprio io: riorganizzare l’esperienza dell’altro in un’immagine produce un tipo di conoscenza che, oltre stabilizzare il proprio modo di sentire, apre simultáneamente alla possibilità di comprensione del tu. La relazionalità così intesa, per tanto, si mostra come uno spazio emozionale e conoscitivo, retto per la maniera in cui si costruisce l’esperienza dell’alterità; della quale dipende la qualità dell’affettività. In questo senso si possono vivere 3 tipi di situazioni diverse a seconda la qualità del vincolo che si stabilisce e a seconda di come é considerata l´alterità: 1) Quando il Tu é considerato onticamente in termini obiettivi, l´altro é sprovvisto d’interiorità propria come se fossi una cosa a manipolare secondo i propri scopi. No si cerca d´incontrare il suo senso ed interrogarsi sul suo mondo interno. Se le sue azioni non sono compatibili con i propri fini, dentro di certi limiti può essere rieducato o sostituito per uno strumento più efficiente. 2) Un´altra esperienza del Tu é la considerazione dell´altro inteso come persona e come oggetto. L´altro questa volta é riconosciuto ontologicamente nella sua unicità come persona. Nonostante ciò si pretende conoscere le intenzioni, le emozioni e le motivazioni dell´altro, affermando la propria superiorità rispetto alla meno valida dell´altro. L’interiorità dell´altro viene anticipata e ridefinita in funzione dello considerato come più giusto o adeguato per l´altro. Quest’ atteggiamento può essere rivestito di una consegna amorevole di sé o dovere educativo. 3) C´é un altro modo di concepire l´altro, cioè come generatore di una dimensione unica dalla realtà. Vivenziare l´altro come persona, ascoltare il suo dire, implica che si deve accettare, ricostruire e interrogarsi sul mondo dell´altro. Mettersi al posto dell´altro, ponendo in “sospensione” il proprio modo di vivere e sentire. Ad ogni svelamento dell´altro, che io riconosco come unico, corrisponde una nuova articolazione de la mia interiorità, che rinnova l´equilibrio raggiunto ed incessantemente mette in gioco il processo della reciprocità caratteristico del dono.ESSERE DONO
Il soggetto che dona è un soggetto relazionale, aperto e ospitale. Il dono è espressione di una scelta libera in funzione delle proprie convinzioni. Il donare è gesto di un essere come essere per l'altro e "il soggetto può così affermarsi come un soggetto autonomo nella dipendenza, in contrasto con l'idea moderna di soggetto inteso come individuo autosufficiente e compiuto in se stesso, chiuso alla dimensione dell'alterità e della differenza" Jean Luc Marion citando i testi dello Pseudo-Dionigi sottolinea: «L’uomo […] riceve il dono come tale solo accogliendo l’atto di donare, cioè ancora donando a sua volta. Ricevere il dono e donarlo si confondono in una sola ed identica operazione, la ridondanza. Solo il dono del dono può ricevere il dono, senza appropriarsene e distruggerlo, in un mero possesso». L´uomo che dona riconosce l´altro ma a sua volta riconosce se stesso e riafferma la sua vera identità nello stesso atto di donare. Chiara Lubich afferma che: “al morire dell´io nel tu, perché il tu é il luogo dove l´io muore nel fratello, si realizza pienamente come io.” Possiamo dire con Buber che la parola “io” significa, pronto a rispondere di tutto e di tutti, salvandone la libertà, devo fare di me un dono all´altro. Non posso farlo pero se non sono libero io stesso, capace di amare veramente, di farmi dono.MARIA INES NIN
INTERNATIONAL CONGRESS May 04-06, 2012 Castel Gandolfo (Rome) Italy