di Alberta Rottegliaalberta rotteglia

Quali i criteri per definirla tale?
Da quale punto d’osservazione psicologica partire, tra i tanti possibili?

Costringere la realizzazione individuale entro gli ambiti della soddisfazione di bisogni e aspettative
personali sembra appartenere più all’ideologia che all’esperienza comune , alla crisi di un pensiero
post-moderno che alla creazione di  reali soluzioni per il benessere della persona.
Perché, come spesso succede, si giunge a contrapporre individualità e comunità, soddisfazione
personale e bene comune, quasi che il secondo fosse limite alla prima?  Paradossalmente sembra meglio rispondere al quesito iniziale un orientamento che, proprio a
partire dalla piena realizzazione individuale, ne vede il compimento nel suo totale superamento.
Un orientamento cioè che inviti al superamento delle possibili istanze dell’Io in favore di un “oltre”,
di una trascendenza che ponga nell’incontro con l’altro e, soprattutto nei significati che emergono
dall’incontro con l’altro, i passaggi da attuare.

E, potrebbe suonare come una provocazione, è credibile sostenere che, per alcune persone,
l’esperienza della sofferenza e della malattia (anche se porta alla morte) può costituire un ulteriore
espansione della propria personalità, arrivando ad una maturazione umana non “prevista”dai tratti
del temperamento?

Questo interrogativo è sorto dopo la morte di un’amica che dalla giovinezza, oltre che occuparsi
della sua famiglia, del suo lavoro di insegnante, era impegnata in un movimento ecclesiale e in
un’associazione di volontariato che promuove la fraternità tra le etnie.
Qui di seguito vi esponiamo le osservazioni che tanti hanno fatto e alcune ipotesi di riflessione a
carattere psicologico.

Quando t’imbattevi in Adele non avevi certo l’impressione di trovarti di fronte una persona con un
facile e docile temperamento e, nemmeno, potevi notare in lei quel certo sentimentalismo che
spesso si è soliti attribuire a chi professa un credo religioso.
Al contrario, in Adele la dimensione concreta delle cose, direi quasi la fisicità della realtà, è stata
sempre presentissima: i rapporti con gli altri erano sostanziati più di fatti che di parole.
A volte il suo essere, il suo parlare poteva risultare un po’ troppo diretto e per qualcuno un po’
spigoloso e scomodo, ma questo accadeva specie quando si trattava di focalizzare l’attenzione su
di sé.

Forse un certo pudore e una sorta di timidezza le impedivano di farsi conoscere o forse – questo è venuto in evidenza solo verso la fine della sua vita- aveva imparato a dare più importanza agli altri che a se stessa. La caratteristica di ‘uscire da sé’ per andare verso l’altro, là dove l’altro si trova, e costruire insieme l’incontro, partecipando solo allora di sé, sembra essere un modello della vera relazione interpersonale: l’altro non è strumentalizzato per i miei bisogni, ma è riconosciuto come altro-da­me e l’io stesso, alla fine, si ritrova in compagnia anche dell’altro per quel tanto di interiorità che è stata esperita da entrambi.   Adele, morta a 63 anni, nel settembre 2005  per tumore, nelle foto più recenti ha il sorriso che pare quello di una ragazza, lo spirito sempre intatto, inquieto, ribelle, volto a grandi ideali perseguiti come via per scoprire la propria strada, il proprio significato di “essere nel mondo”. Ciò che colpisce di più, soprattutto dopo l’insorgere della malattia che l’accompagnerà per otto anni, è il suo atteggiamento nei confronti della stessa: Adele riesce a decidere sempre “chi vuole essere”, colpisce cioè l’estrema libertà nei confronti di una diagnosi che da subito lascia pochissime speranze. Una situazione che non potrà cambiare, angosciante e limitante circa il tipo di pensieri la progettualità futura, il coinvolgimento in ciò che direttamente non sia solo la cura, ogni possibile cura. Vengono in mente le parole di V. Frankl quando afferma che “è solo la persona spirituale che, ponendosi a confronto con il carattere, in tutta libertà, prende posizione e decide chi deve essere” Questo psichiatra, psicanalista austriaco, recentemente scomparso, giunge a tale conclusione dopo la personale esperienza in un campo di concentramento nazista e aggiunge anche : “Cos’è dunque l’uomo? Domandiamocelo ancora, è un essere che sempre decide ciò che è, un essere che porta in sé la possibilità di abbassarsi al livello degli animali o immolarsi al livello di una vita santa”

Ci sembra di poter condividere questa posizione indicata come integralmente umana per ciascuno. Il nevrotico, in fondo, ha un atteggiamento di rifiuto e di timore verso il conflitto e la sofferenza, è prigioniero della paura di soffrire e così si trova spesso ad escludere circostanze o situazioni che potrebbero evocarla senza accorgersi che con esse esclude la sua stessa possibilità di promuovere il proprio cambiamento, promovendo un processo di crescita. Anche Assagioli, psichiatra e psicoterapeuta italiano, fondatore negli anni ’30 della Psicosintesi scrive che “si tratta di espandere la propria coscienza fino ad arrivare a includervi l’Io, il Sé spirituale, a riunire il riflesso alla Sorgente. (…) L’Io così inteso è ‘il centro della coscienza’ , non identificabile con i suoi contenuti, ma che prelude al ‘vero io’ o sé superiore o transpersonale o spirituale. Adele aveva deciso da subito di non farsi dominare dall’esperienza della sofferenza e aveva scoperto che per fare questo doveva abbandonarvisi accettandola pienamente come compagna di

ogni giornata, di tutte quelle che le sarebbero rimaste, ma rendendo così più prezioso e intenso
ogni istante di vita.
Tanti possono testimoniare che Adele ha vissuto in questo modo, proprio gli anni della malattia,
perché pur accettando e contrattando coi medici le modalità di cura, ha continuato con ancora
maggior intensità a riempire di attenzione per gli altri gli attimi di ogni giorno, senza identificarsi con
la diagnosi e la prognosi.
Un concetto cardine per la Psicosintesi che caratterizza la persona matura parla proprio di questo:
“l’io, disidentificandosi dai contenuti dell’attuale personalità cosciente e da quelli che in essa
penetrano dall’inconscio, può salire verso il sè superiore e poi fermarsi, e da quel punto ricostruire
la personalità, dominare ed utilizzare le forze interne.”

Pensando a lei, alla sua vita di sempre e- più ancora alla sua vita degli ultimi anni - caratteristiche
come
                        - rimettersi in cammino ogni giorno, dopo ogni sosta 

                        - non trattenere persone, ricordi, pensieri che non appartengono più all’oggi escono dalle semplici categorie psicologiche per assumere tutta la pregnanza e il calore di una persona vera. In una lettera di qualche anno prima affermava: “Ho cancellato la parola ‘dopo’ dal mio vocabolario (nel senso lo farò dopo), che problema c’è?”  comunicando in questo modo l’importanza che aveva per lei la risposta concreta verso chiunque le esprimesse una necessità. In queste parole il presente sembra dilatarsi sul futuro e valorizzare ogni incontro che, perciò diviene eterno, perché ogni istante vissuto per l’altro si fissa. In questa frase la libertà si compone nell’esperienza della responsabilità e sembra sintetizzare l’esclamazione di Hillel (saggio ebreo vissuto 2000 anni fa): “Se non lo faccio io, chi altri lo farà?E se non lo faccio ora quando sarà il momento di farlo?E se lo faccio solo per me stesso chi sono io?” Anch’egli percepiva che l’individuarsi, il realizzarsi coinvolge l’incontro con l’altro  Un altro aspetto saliente di Adele è stato quello di essere profondamente se stessa, aderente alla sua singolare personalità, fuori dagli schemi e dalle convenzioni di un certo modo di fare comune e consolidato, tipico di un gruppo e di un’appartenenza, per assumere quei valori, quelle idee forti in modo assolutamente originale. La caratterizzava anche l’autenticità, cioè la possibilità di presentarsi senza maschere precostituite, avendo vinto il timore del giudizio altrui per..’essere semplicemente quello che si è ‘ (Rogers, in “La terapia centrata sul cliente”). Era forte ed immediata la sua capacità di far emergere, tra le tante possibili espressioni di sé, quelle più consone al proprio temperamento ed, insieme, restare fedele al suo ideale di vita.  Nelle sue molteplici attività in sostegno agli immigrati si rimaneva colpiti dal suo andare al concreto del problema, senza orpelli o parole inutili, sapendo trattare con le persone più diverse per formazione e mentalità…e poteva restare ugualmente in ascolto di qualcuno di “importante” che di uno sconosciuto, che non avrebbe più rivisto. Dopo la sua morte è stato impressionante vedere quante persone chiedevano di lei: antiquari e ambulanti incontrati nel mercantino sul Naviglio che, mensilmente, organizzava per finanziare le attività di volontariato, avvocati o funzionari conosciuti nell’assistenza agli immigrati, studenti e persone semplici rimasti colpiti dal suo modo di fare. Se il suo modello di rapporto interpersonale è stato offrirsi in uno spazio relazionale, in un ‘vuoto’ per sperimentare con l’altro ‘l’essere’, ciò che lei ha testimoniato è che, in questo modo, spesso ci si riconosce, rinnovati e solidali, nella comune appartenenza alla specie umana. A queste condizioni non c’è pertanto annullamento della personalità, ma il generarsi di   relazioni solidali e, spesso, reciproche, che si mantengono perché si generano da una motivazione altruistica, potremmo dire “amorevole”. La malattia sta dietro per una precisa volontà di Adele, ma anche come effetto della sua profonda partecipazione alla vita e ai dolori degli altri, soprattutto i più poveri, attraverso il suo servizio agli immigrati. Non c’è afflizione vera nelle prove fisiche e psicologiche della malattia ma, quasi, una maggior conoscenza di se stessa e delle proprie infinite risorse che spesso si traducono in soluzioni originali e creative per quanto riguarda il sostegno degli altri, serenità e stabilità dell’umore per quanto la riguarda. Inoltre sa chiedere sostegno ad amici e familiari per non cedere allo sconforto e all’angoscia. Ed essi, nella sua vicenda, hanno trovato un ulteriore motivo di coesione tra loro, comprendendo meglio l’importanza di vivere insieme la vita. La riconoscenza di Adele di fronte alla vita, tutta quanta la sua vita, compresa l’esperienza della malattia, la porta a trasformare il suo carattere e ad acquistare una “rotondità” e una delicatezza più ampia e profonda: pare pescare dentro di sé, dal suo rapporto con Dio una capacità nuova di farsi vicina a ciascuno, di arrivare ad unire la comprensione intellettuale ed affettiva delle situazioni altrui all’aiuto concreto come risposta visibile del suo vivere per chi era accanto. Paradossalmente vengono amplificate le caratteristiche più positive della sua personalità come il coraggio, la lealtà, la saggezza, l’amore, lo spirito di abnegazione, la vita spirituale (potenzialità che, insieme ad altre, Seligman ha trovato presenti in molte culture) Altrettanto sorprendente è anche il prolungarsi della vita fisica, nonostante la grave malattia: la volontà di non dipendere interamente  dalla sua condizione sembra agire sul corpo e rallentare il tumore. Adele, in un’altra occasione, scriverà, riprendendo una frase di altri che “l’amore risana”. La dimenticanza di sé non è però indifferenza, il male stesso non consente, ma è relativizzazione. Questa convinzione così radicata a non lasciarsi sopraffare psicologicamente e la volontà di portare la sua condizione con amore, vedrà Adele nell’ultimo consulto a esprimere il suo dispiacere per quei medici che le comunicavano che non c’erano più cure per lei. E’ stata esperienza di molti il non rendersi conto, fin quasi all’ultimo giorno, che le restasse così poco tempo, tanto pareva impossibile che la morte imminente la lasciasse così “viva”!                  

Cercando di sintetizzare l’esperienza che abbiamo descritto, ponendo anche alcuni accenni teorici, vorremmo sottolineare che esiste un altro livello, oltre a quello individuale, attraverso il quale la personalità si espande, realizzandosi: è la dimensione sociale vissuta come costruzione della comunità e armonizzazione dei suoi singoli  componenti. Per concorrere a questo scopo, sempre perfettibile, la persona necessita di un progetto di vita, di un significato che la guidi e la faccia evolvere, in modo che l’agire non sia fine a se stesso, ma funzionale al senso profondo dell’esistere. Infine ci pare importante sottolineare come l’esperienza della sofferenza, accanto a quella dell’essere amato e accolto, ha in sé la potenzialità di dilatare la personalità: ciò si realizza però solo se vi è la possibilità di tollerare la frustrazione, di elaborarla, cosicché, resa “altra”, modificata, possa dar forma ad un nuovo pensiero.  

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