Ezio Aceti

Premessa

Lo sviluppo umano è un processo permanente e continuo che investe le varie dimensioni della persona con una serie di tappe e crescite che a volte appaiono casuali , a volte invece somigliano ad una serie di percorsi ben ordinati e strutturati.

Per poter cogliere il filo ordinato e il continuum evolutivo è di primaria importanza saper individuare sin dalle prime fasi infantili quali sono i cardini e i prodromi fondamentali dello sviluppo.

Sappiamo infatti che lo sviluppo individuale è caratterizzato da un insieme eterogeneo di influenze genetiche e di stimoli ambientali che interagiscono reciprocamente.

Ed è appunto su questa interazione reciproca , su questa reciprocità che vogliamo soffermarci , in quanto gli studi sullo sviluppo sono oggi sempre più attenti non al singolo bambino  o alle caratteristiche dei genitori, ma sulle qualità della relazione bambino – madre, bambino- genitori, concordando sempre più sul fatto che questa “ capacità” relazionale appare già in “fieri” sin nel grembo materno.

Il paradigma che ci apprestiamo ad approfondire è questo : è la relazione di reciprocità come bene terzo fra il bambino e la madre , un bene così importante da esserne il prototipo principale per un sano ed equilibrato sviluppo?

Del resto il “FOCUS” degli studi sullo sviluppo oggi è sempre più concentrato sulla qualità di questa relazione di reciprocità , ricercandone le tracce sin dai primi istanti di vita e seguendone l’evoluzione nelle varie fasi della crescita.

Queste scoperte hanno influito enormemente anche sugli approcci educativi all’interno della diade madre-bambino e della famiglia , tanto che l’asse educativo si sta sempre più spostando dalla dicotomia autoritarismo/permissivismo  a quella della modalità di interazione reciproca.

Sembra infatti che la relazione empatica di reciprocità che si può strutturare nell’educazione fra genitori e figli sia sempre più quella in grado di favorire un sano sviluppo della persona determinando interventi sociali sempre più costruttivi.

Il nostro percorso partirà dall’approccio delle neuroscienze , in grado di dimostrare come sin dal grembo materno  sia presente una sorta di “predisposizione biologica aperta” alla reciprocità, per continuare poi sul versante della psicologia dello sviluppo soffermandoci sugli approcci di Stern ed altri, per poi concludere ad alcuni accenni psicopedagogici di Brazelton inerenti a dimostrare come fra l’educatore e l’educando le distanze oggi si sono accorciate o meglio raccordate in quanto non si parla più di distanza educativa, ma  di interscambio vitale , ove la reciprocità ne è il fondamento.

Neuroscienze e psicologia dello sviluppo e la nascita della mente relazionale

Le neuroscienze, disciplina d’integrazione che studia come la mente emerge dal cervello, rappresentano un panorama di conoscenza particolarmente  innovativo per chi si occupa del bambino e delle sue relazioni.

Grazie agli studi della neurobiologia oggi sappiamo che nella microstruttura del cervello , l’aspetto più affascinante è quello della rete, un immenso network di informazioni e memoria , in continua modificazione per tutta la vita , ma specialmente nella primissima età.

Infatti gli studi sul genoma umano hanno dimostrato che il programma genetico che determina l’essere umano è un programma “aperto” , in cui i geni stabiliscono molte caratteristiche del cervello e del comportamento, ma la cui azione è un’azione in divenire , che dipende dalla interazione con l’ambiente e soprattutto dalla qualità di questa interazione.

La regolazione genetica del sistema nervoso è un fenomeno variabile durante lo sviluppo : in ogni fase alcuni geni sono attivi e altri non lo sono.

Ed è grazie all’importanza delle esperienze precoci che si può modulare l’espressione dei geni a livello cerebrale e condurre il cervello alla sua progressiva maturazione, esperienze che naturalmente sono per lo più determinate dalla relazione madre-bambino.

Tale relazione è quindi funzionale allo sviluppo del bambino in quanto in grado di stimolare i geni regolatori che a loro volta modulano le varie funzioni del cervello.

Del resto nella stessa teoria dell’attaccamento di Bowlby viene postulato come il legame madre­bambino, rinforzato dalla prossimità e dal contatto, ha come scopo quello di offrire al bambino la sicurezza di sé e il benessere psichico.

L’attaccamento quindi che nasce come un fenomeno pulsionale, si trasforma in un fenomeno inter­azionale ,   essendo di fatto una esperienza di reciprocità, attraverso l’interiorizzazione di sentimenti e l’organizzazione di modelli operativi interni del bambino  , che si fondano sui processi mentali di attenzione, percezione,  memoria,  emozione.

Ulteriori studi più recenti condotti da Stern ed altri , inerenti la funzione regolatrice della madre, hanno dimostrato come un attaccamento sicuro  sia sempre frutto non solo delle capacità del genitore di rispondere al bisogno del bambino bilanciando vicinanza e autonomia esplorativa, ma anche delle capacità del bambino nel percepire la mente dell’altro,della sua predisposizione all’unione con l’altro.

Proprio come afferma M. Stern (seguace di Vigotskij) :” le competenze del lattante e le competenze della madre potranno esercitarsi , creando un effetto di rinforzo reciproco quando l’uno si associa all’altro, disorganizzando il comportamento di entrambi quando l’accordo non può essere trovato.

Alla luce di queste riflessioni non possiamo tralasciare le ultime scoperte  in campo neuroscientifico a proposito dei cosiddetti neuroni-specchio,il substrato neurobiologico più affascinante degli atti comunicativi reciproci, quindi dell’empatia che guida gli apprendimenti.

Partendo dal presupposto che il cervello è un organo plastico, in grado di ristrutturare la sua architettura quando serve, dove i circuiti non potenziati da esperienze ed interazioni vengono “potati” (“pruning”) , concordiamo con Siegel quando definisce lo sviluppo del cervello come un processo esperienza-dipendente.

E’ logico che il grado di qualità più o meno intenso di questa esperienza  permette al genitore di essere “ scultore” del cervello del proprio bambino in  modo armonico e integrato.

I neuroni specchio sembrano  funzionare in modo tale  da codificare i gesti che sono più interessanti( emozioni, motivazioni ) quelli più conosciuti ( cognizioni ) quelli che più comprendiamo e che vogliamo imparare.

E’ in sostanza una nuova luce sullo scambio emozionale tra il genitore e il suo bambino , su quella lettura della mente che aumenta il benessere del bambino.

La relazione di reciprocità risulta allora essere la matrice della mente che permette al bambino di realizzarsi con se stesso e con gli altri.

Educazione e sviluppo come incremento e rinforzo della reciprocità

Questo sistema di regolazione del bambino è fondamentalmente un sistema diadico che dipende sia dal bambino sia dalla madre, come è stato riconosciuto sia in ambito psicodinamico, sia in ambito cognitivo costruttivista (studi di Stern, lavori di Guidano e Liotti).

Un evento critico per comprendere la relazione reciproca è il processo di rottura e separazione.

Nelle normali interazioni madre bambino possono essere osservati diversi momenti di non coordinazione, cioè momenti in cui uno dei due partner non coglie in maniera accurata il significato dell’esperienza emozionale dell’altro e di conseguenza non reagisce in maniera appropriata : le ricerche in proposito indicano che  il 65% del tempo della interazione non è coordinato adeguatamente, ma quasi la metà di questi errori vengono recuperati nel momento successivo.

Gli stati non coordinati possono rappresentare momenti positivi da un punto di vista evolutivo perché permettono al bambino di elaborare le sue capacità regolatrici e di diventare più capace di utilizzarle ed inoltre , nella misura in cui l’esperienza di riparazione successiva diventa una caratteristica coerente e regolare della esperienza interattiva, il bambino svilupperà una rappresentazione della sua interazione con la madre come generalmente ben regolata e riparabile.

Da quanto detto risulta così evidente come nella esperienza di attaccamento e di relazione con la madre , il neonato è un protagonista che , insieme alla madre,  co-costruisce se stesso e i suoi rapporti.

Da queste prime esperienze infantili si sviluppa una persona che è in grado di trasferire in tutte le istanze della vita e della crescita la modalità di reciprocità come essenza stessa della evoluzione.

Lo stesso Erikson ha confermato come la reciprocità durante il periodo infantile sia basilare per lo sviluppo del sé , dell’autostima e della sicurezza come pure cardine per i rapporti con l’ambiente sociale, con i coetanei e con la famiglia.

Anche Brunner riconosce alle interazioni umane un ruolo di mediazione sostanziale per lo sviluppo delle dimensione affettiva e sociale dell’individuo.

Tutto ciò ci fa comprendere come anche i processi educativi devono tener conto di questo nuovo modo di intendere il rapporto fra l’educatore e l’educando , fra i genitori e i figli , fra le insegnanti e gli allievi , in quanto è assolutamente importante superare il binomio autorità-discepolo, maestro­allievo , genitore –figlio per sostituirlo con quello di persone in dialogo che, anche se con ruoli e caratteristiche differenti, hanno il compito di strutturare fra loro rapporti di reciprocità .

Non più chi ha ragione o torto, non più una obbedienza cieca o funzionale, ma una cooperazione reciproca per il bene  relazionale.

Il ben-essere relazionale risulta allora il frutto di rapporti che porterà i suoi vantaggi anche nelle relazioni sociali e nelle comunità umane.

Fenomeni come il bullismo, il disagio giovanile, insieme a tutte le varie forme di violenza e di prevaricazione , cosa sono se non grida disperate di una assenza di relazione, di una immaturità relazionale che oggi viene chiamata analfabetismo emotivo.?

Insomma il rapporto di reciprocità , che si struttura in fieri sin dalla nascita, necessita di essere coltivato in tutte le fasi della esistenza  per poter realizzare società che abbiano al loro interno i germi per una umanità rinnovata e solidale.

E’ allora straordinario constatare come nella prima diade adulto-bambino sia insito il prototipo di tutte le altre diadi io-tu, che per essere tali hanno in sè qualcosa che le trascende , un’energia ,uno stampo, una predisposizione che permette lo scambio reciproco.

La vita quindi,sin dal suo nascere è sempre un segno di incontro ( gamete maschile con il gamete femminile, padre e madre ) e si sviluppa  mediante una serie di incontri di reciprocità.

Questo sviluppo è e ha in sé qualcosa di geniale e creativo, è forse il mistero più grande, mistero non tanto perché sconosciuto, ma perché sacro, vitale, che è forse segno di una realtà sovra­naturale, che realizzandosi contiene e va oltre la natura dei due. E’ l’Amore.

Il Carisma dell’unità è in profonda sintonia con quanto sottolineato fino a questo punto e allo stesso tempo supera queste prospettive. In generale la Spiritualità richiama ad un vivere comunitario in cui è centrale l’importanza dell’altro per la realizzazione di ciascuno e non è di inciampo; tale relazione ha delle caratteristiche precise:

  • è amore: “qui sta la perfezione anche umana, amare il prossimo, il farsi uno col prossimo, vuol dire proprio rinunciare a difendere l’Io per trascendersi nell’altro”; “la sola relazione con l’altro che non sia di violenza o condizionamento, ma che riconosca e rispetti la sua persona come essere trascendente, è amarlo come se stessi, poiché il mio amore non soltanto conferma lui nel suo essere distinto da me, uguale a me, trascendente come me, ma fa essere anche me. Solo l’amore rende conto della diversità (odistinzione) salvando l’uguaglianza e rendendo così possibile l’unità”.
  • è reciprocità “così l’amore è amare ed essere amati”,
  • dono di sé: “io sono massimamente persona quando liberamente e coscientemente affermo l’altro anche a costo della mia vita. In altri termini: nessuno è così Io, così persona, come colui che per salvare la trascendenza dell’altro trascende se stesso negandosi”;
  • essere un nulla d’amore per essere l’altro e sé; farsi uno con l’altro “metterci a sua disposizione, accettarlo vuoti di noi stessi e spostare per lui anche ciò che abbiamo di più bello, di più grande per essere di fronte a lui “nulla” in tal modo il fratello può manifestarsi perché trova chi lo accoglie: può donarsi. Ma poiché il “nulla “ in noi è “nulla d’amore” e certo non sinonimo di inesistenza”.

E’ questa relazione che ci fa sperimentare la stessa presenza di Gesù fra noi secondo le sue parole:”dove due e o più sono uniti nel mio nome sono io in mezzo ad essi” (Mt.18,20) e una grande pienezza di vita: “Noi in pratica  costatiamo quand’è fra noi: quando ci sentiamo liberi, uno, pieni di luce. Quando torrenti d’acqua viva sgorgano dal nostro seno”.

Si giunge così a definire il profilo di un singolo che realizza se stesso, che contemporaneamente è costruito e contribuisce attivamente a costruire una società intorno a sua misura e ricca di interazioni umane soddisfacenti. Con la spiritualità dell’unità lo stesso singolo contribuisce a realizzare  il sogno di Dio “Che tutti siano uno” (Gv17,11).

Bibliografia

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