Quando non si sa che direzione dare alla propria vita, può essere utile andare alla scoperta di se stessi, senza timori.
Lei, la chiameremo Fiore, per l’accezione romantica di fioritura che questa storia trasuda, ma potrebbe essere anche Francesca, Sandro, Rachele, Martina, Gianmarco… È un’esperienza che appartiene a tanti di noi, almeno per le domande di senso che ci sono sullo sfondo.
Fiore racconta qualcosa che si è concessa di vivere, anche l’aver chiesto “aiuto” è stato di per sé un passo trasformativo. Al termine del suo percorso le ho chiesto di scrivere la sua esperienza, mettere nero su bianco rinforza la consapevolezza, chiarisce le idee, e permette di capitalizzare le conquiste fatte.
Domandandole da dove è partita e dove è arrivata, risponde: “Ho deciso di iniziare un percorso perchè sentivo che ero ad un punto di impasse nella mia vita: i giorni volavano e la routine sembrava aver ripreso piede dopo i mesi del lockdown. Tutto riprendeva a scorrere più o meno lento o veloce. E poi c’ero io, con un mare di dubbi e incertezze sul futuro, ma anche sul presente. Desideravo prendere una decisione per la mia vita da un punto di vista lavorativo, visto che mi sarebbe scaduto il contratto a breve… continuare o non continuare? Sembrava questo il dilemma più grande e invece la parte più profonda di me voleva trovare risposta alla domanda di senso che da sempre mi tormentava: che direzione dare alla mia vita? Quale è il mio posto nel mondo? Due anni e mezzo intensi, con questa domanda sullo sfondo e la credenza che sarei morta da eterna indecisa”.
Tendiamo a crearci delle idee su noi stessi, sugli altri e sul mondo, alle volte (in base alla nostra storia di vita) possono essere positive e potenzianti, altre volte possono diventare dei pregiudizi limitanti (sono un’eterna indecisa). Fiore aveva una forte motivazione intrinseca, voleva fortemente ritrovare se stessa e la sua strada, non sapeva quale fosse l’obiettivo e allo stesso tempo era alla scoperta, aveva il desiderio di vivere pienamente.
Le ho anche chiesto, cosa hai vissuto e cosa ti porti via da questo “viaggio”? Mi ha scritto: “Ho guardato in faccia il passato e il presente, ho lottato con i fantasmi di eventi che avrei solo voluto cancellare, ho imparato ad ascoltare le sensazioni del mio corpo, a non silenziare la voce di quella bambina che dentro me scalpitava perchè voleva solo essere felice. Ho dato ascolto alle parti di me che provavano rabbia, paura, tristezza, a quelle che volevano correre, sfogarsi e riportare giustizia per cambiare il mondo… voci che mi sono data il permesso di ascoltare, riconoscere per poi parlargli, per provare a contrattare: ‘Ora accontento te con questo e te con quest’altro’. È stato un lungo ed intenso viaggio che oggi, se mi guardo indietro, rifarei altre mille volte. Un viaggio in cui mi sono decisa a riprendere in mano il timone della mia barca per ricominciare a navigare nel mare della vita. Mare calmo, mare in tempesta, alta e bassa marea, onde e scogli in cui mi sono imbattuta e incagliata, il timone che ha girato qualche volta impazzito e l’ho lasciato afferrare anche ad altre mani per non andare alla deriva”.
Per ritrovare la serenità, ha attraversato le parti buie, emozioni legate ad esperienze difficili e a tratti traumatiche che aveva vissuto. A volte aveva timore di contattare o di parlare delle cose spiacevoli accadute, a piccoli passi l’ha fatto, lasciando andare ciò che non serviva più, dando nuovo significato al vissuto.
Cosa ti ha aiutato nel percorso? Fiore racconta: “Sulla barca insieme a me, c’è stato chi mi ha accompagnato, ho fatto salire i miei nuovi amici e i compagni di viaggio di sempre, che spesso relegavo sigillandoli da parte: le mie emozioni e le parti di me che portavano ognuna le sue ragioni. Oggi sono il mio equipaggio. Durante questa navigazione ho imparato ad avere pazienza, a darmi tempo, a non pretendere che tutto andasse e si evolvesse con i tempi e modi che mi ero prefissata. La pazienza verso se stessi, riconoscendosi in cammino, è il perdono più grande che possiamo concederci e quindi l’amore più alto. Mi sono lasciata andare, come quando sei in barca a vela, che timoni solo ascoltando e tenendo conto del vento che mentre soffia ti conduce. Tutto è stato il mio vento: gioie, dolori, sconfitte, paure e conquiste che mi sono regalata quando ho deciso di guardare avanti e riprendere il cammino. Ho ritrovato la mia vera essenza cresciuta, matura, oserei dire: donna”.
Ri-narrandoci, la nostra identità prende forma, ascoltando le emozioni e i sentimenti possiamo comprendere fino in fondo cosa accade dentro di noi e stare in contatto con il mondo esterno. Fiore ha fortificato il suo senso identitario, questo le dà consapevolezza nel compiere scelte congruenti ed essere pienamente se stessa.
Continua scrivendo: “In questo viaggio la bussola si sta aggiustando, ho individuato, per ora, una rotta possibile, anche se mi sento ancora in mare aperto. Ma non ho più paura, o almeno, non ho più “solo” paura. Ho un timone tra le mani, una barca che ha ripreso a navigare e il mio equipaggio che, oggi, va nella mia stessa direzione. Magari lungo il cammino ci incaglieremo di nuovo in altri scogli, salteremo onde forse più grandi di noi e affronteremo ancora tempeste. Ma saremo insieme.”
La paura è un’emozione ancestrale che ci ha permesso la sopravvivenza, allo stesso tempo, bisogna capire quando è da ascoltare e seguire o da ascoltare e contenere (se non c’è un vero pericolo!).
In questo modo si può dare forza al coraggio, al desiderio di entrare in relazione con gli altri e col mondo, di portare avanti i propri valori e la passione verso qualcosa che ci fa battere il cuore! Buon viaggio Fiore, vederti salpare da questo porto è una grande gioia!
FONTE: CITTÀ NUOVA