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di Nancy O’Donell
Introduzione
Non si può non parlare di terapia di gruppo o di dinamica di gruppo in una conferenza in cui si vuole esplorare l’impatto e le implicazioni di una spiritualità di comunione nel campo della psicologia e, in modo specifico, nella realizzazione della persona umana.
In questa presentazione cercheremo di illustrare come “l’incontro con altri” (per riportarci al titolo della nostra conferenza) in un contesto di terapia di gruppo, possa essere descritto e illuminato da concetti contenuti nella spiritualità di comunione, innestandolo nell’estesa letteratura e varietà di teorie sviluppatesi negli ultimi decenni nel campo della terapia di gruppo. Si porteranno anche degli esempi volti ad illustrare come questo tipo di incontro contribuisca al raggiungimento della realizzazione dell’individuo sul piano personale e come gruppo.
La dottrina del carisma dell’unità, quando vissuta, trova espressione in una nuova realtà sociale, in una nuova comprensione ed esperienza di vita sociale mai concepita prima.1 Ciò ci “autorizza”, per così dire, a parlare di quest’argomento in qualità di esperti di tale esperienza, sia come professionisti che nella nostra vita personale.
Psicologi con training basati su teorie diverse usano la terapia di gruppo per la cura di molti tipi diversi di problemi o condizioni psicologiche. Però, a parte l’orientamento di ogni singolo psicologo, contrariamente alla psicoterapia individuale, la terapia di gruppo offre le molteplici relazioni come aiuto alla crescita dell’individuo e alla soluzione dei problemi.
La terapia di gruppo, perciò, è fondamentalmente un’esperienza sociale. È un’incontro di persone o di individui, una forma di comunità unica. Il dizionario definisce il “gruppo” come un “numero di individui riuniti insieme o aventi un qualche rapporto unificante.”2 La vita di ogni individuo è modellata, in bene o in male, dalla propria esperienza di gruppo. Le persone alla nascita diventano parte di un gruppo. Durante la vita partecipano a gruppi. Ogni individuo influenza ed è influenzato da vari gruppi – familiare, religioso, sociale e culturale, che continuamente incidono sul suo comportanento, sull’auto-immagine e sulla salute fisica e mentale. Una comunità è una realtà che tocca tutti noi in modo così fondamentale che solo raramente ci fermiamo per domandarci cosa si intende con questo termine. La differenza sostanziale tra l’essere semplicemente un gruppo e essere una comunità sta nel tipo di relazione che lega i suoi membri uno all’altro. Ai fini di questa presentazione, le parole saranno usate in modo intercambiabile per evitare confusione. Luft (1984) ha dato la seguente definizione di “gruppo”:
un sistema vivo, che si auto-regola mediante la condivisione di percezioni e interazioni, sensazioni e feedback, e mediante uno scambio con l’ambiente. Ogni gruppo è un insieme con caratteristiche uniche, le quali assumono un determinato pattern definito dai modi di pensare, di sentire e comunicare dei suoi membri, pattern che poi si traduce in sottosistemi strutturati. Il gruppo trova un suo modo di mantenere l'equilibrio pur subendo trasformazioni progressive, creando le sue proprie linee guida e norme, e perseguendo i propri obiettivi mediante cicli ricorrenti di comportamento interdipendente.3
Susan Wheelan (2005), parlando della cultura di gruppo, offre un’analogia interessante. “La cultura, secondo una prospettiva sociologica, è lo schema collettivo che fissa il modello sul quale si deve organizzare e costruire una società. La cultura, in quest’ottica, è per la società quello che il DNA è per l’uomo come essere biologico”.4 Ciò può essere applicato alla terapia di gruppo, nel senso che ogni gruppo si crea la propria "cultura" che ne detta la struttura sociale e le regole di interazione.
La stessa autrice ha cercato di spiegare la relazione tra l'individuo e il gruppo, collocando la sua teoria nel contesto dell'era post-moderna, la quale pone, come abbiamo visto in questi giorni, crescente enfasi sull'individuo come unità base della società. “Si ritiene che ogni individuo plasmi la propria identità in modo libero, scegliendo i propri obiettivi e prendendosi la responsabilità delle proprie azioni. Il singolo individuo è visto come separato dal proprio contesto. L'identità personale, così come è vista al giorno d'oggi, precede ed è distinta dall'appartenenza a un gruppo.”5 Questo punto di vista ha rimpiazzato il concetto della famiglia come unità base della società, in cui l'individuo veniva definito a seconda del suo contesto sociale. La conclusione dell'autrice è interessante specialmente per coloro fra noi che hanno raggiunto la convinzione che una spiritualità collettiva risponde in particolar modo alla situazione che l'umanità sta vivendo oggi. Essa conclude che la comprensione del solo individuo non è sufficiente. “Gli individui, i gruppi e il più vasto contesto sociale in cui essi operano esercitano un'influenza uno sull'altro. Lo sviluppo di individui, gruppi, instituzioni e società sono inevitabilmente legati. La salute di ognuno condiziona quella degli altri”.6
Sicuramente ciò pone la nostra conferenza e in particolare questo tema in contesto, fino a poter suggerire che la terapia di gruppo è il modo più appropriato ed efficace di trattare disordini di natura psicologica, precisamente in quanto essa offre i molteplici rapporti come contributo alla crescita e alla guarigione, quando guidati da un clinico esperto.
3 Susan Wheelan, Group Processes: a developmental perspective. Allyn & Bacon, Boston, MA, 2005,
Ibid., p.25. 5 Ibid., p. 114. 6 Ibid., p. 120.
Il “sistema vivo”, descritto sopra da Luft, visto dalla prospettiva della psicologia di comunione, è composto da persone che sono state create ad immagine di un Dio Uno e al tempo stesso Trino. Infatti, “Se l’uomo è stato creato a imagine e somiglianza di Dio, la sua persona, come pure la sua natura, è il riflesso di ciò che esiste in Dio”. E, poiché Colui che l’ha creato “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1, 26) è Uno e Trino, l’uomo porta impressa nel suo essere un’analoga realtà trinitaria, che si manifesta anche nella pluralità degli elementi che lo compongono e nell’armoniosa unità del tutto” (p. 15, “La salute dell’uomo oggi: un equilibrio raggiungibile,” 2001). Inteso in questo modo, il “comunicare” che ha luogo nei gruppi esprime una visione del singolo individuo come pure della collettività, dove la bellezza e l'unicità della personalità di ciascuno vengono preservate, mentre creano, in modi sempre nuovi, una realtà collettiva che è di più che non semplicemente la somma delle sue parti. Potremmo paragonare questa idea a quanto ha affermato Jung: “L'incontro di due personalità è come la mescolanza di due sostanze chimiche diverse: se si combinano, entrambe vengono trasformate.”
È interessante il fatto che, Mark Ettin, nel suo libro “Foundations and Applications of Group Psychotherapy” (1999), pur senza fare alcun riferimento al significato religioso della parola, descriva il gruppo come “Trinità”: Intrapersonale, Interpersonale e Gruppo come un insieme”.7 Questi tre livelli di organizzazione, a suo avviso, riflettono il processo e i vari compiti della psicoterapia di gruppo, acquistando una dimensione “Trinitaria”. Egli ritiene che la rete di gruppo ha lo scopo di porre i suoi membri, e mantenerli, in contatto, facendo del gruppo un “…recipiente pronto a ricevere trasformazioni individuali e collettive”.8 Ciò può avvenire solo quando tutti e tre i livelli sono operativi, vale a dire, quando vi è movimento all'interno di ogni singolo membro, nei rapporti interpersonali tra i vari membri e allo stesso momento, creando un qualcosa come un “insieme” che trascende entrambi – un qualcosa di più. Da questo “insieme-gruppo” emerge la formazione di un'entità olistica con proprietà comprese dalle sue singole parti, ma anche indipendente da esse. In un processo di reciprocità di questo tipo, i membri dapprima contribuiscono con esempi tratti dalla propria prospettiva individuale, e successivamente traggono dalla saggezza collettiva un modo proprio di riorganizzare e rivalutare le soluzioni a problemi o conflitti personali. Si tratta di un processo in cui i membri del gruppo perdono, in certo senso, ognuno il proprio problema individuale per riprenderlo più tardi, arricchiti dalla saggezza collettiva.
Questa triplice crescita è un'esperienza comune per coloro vivono la spiritualità di comunione. È il loro stile di vita. Questo “perdere” per “guadagnare” è delle sue caratteristiche primarie. L'unità è raggiunta quando ognuno dei componenti perde se stesso per l'unità … “Chi si fonde nell’Unità” ha scritto Chiara Lubich, “perde tutto ma ogni perdita è guadagno. L’unità esige anime pronte a perdere la propria personalità, tutta la propria personalità. Perché l’Unità è Dio e Dio è Uno e Trino. I tre vivono unificandosi per la loro stessa natura: Amore e unificandosi (=
7 Mark Ettin, Foundations and Applications of Group Psychotherapy, Jessica Kingsley Publishers, 1999, p. 116. 8 Ibid., p. 299.
annullandosi) si ritrovano: si fanno uno per amore e nell’Unico Amore si ritrovano”. (Gesù in mezzo, Judith Povilus, 1981, p. 67)
Si potrebbe mettere in questione la validità di questo svuotarsi di se stesso come processo terapeutico, eppure la vera reciprocità non richiede nulla di meno. La capacità di formare questo tipo di relazione non è un fenomeno semplicemente spirituale. Studi di ricerca recenti nel campo della psicologia evolutiva sociale infantile hanno portato alla conclusione che gli esseri umani vengono al mondo preparati all'interazione. Essere “in relazione con gli altri” è insito nel nostro DNA, per così dire. Nel 2003 è stato pubblicato un rapporto dell'Institute of American Values on Children at Risk, con il titolo “Hardwired to Connect: the new scientific case of authoritative communities”. Non vi è il tempo qui di esplorare nei dettagli questo esteso rapporto, ma la premessa sulla quale si basa il loro lavoro è che i meccanismi che ci fanno connettere e rimanere connessi agli altri sono impressi biologicamente e sempre più discernibili nella struttura base del cervello.
Non si vuole, con questo, togliere nulla alla dignità e all'individualità così preziosa della persona. È, quindi, l’uomo la creatura privilegiata tra tutte le creature terrestri, un essere straordinariamente unico con una dignità tutta sua, come nessun altro qui sulla terra: “non è una creatura in più, ma quella che dà a tutta la creazione il suo senso ultimo, culmine dell’opera di Dio” nella quale (Chiara Lubich scrisse una volta) Dio “si partecipa direttamente, ponendogli l’anima come immagine Sua e ponendolo in terra per l’avventura di farsi Dio, tornando al Padre che lo creò, per partecipazione divina, mediante la grazia”.
Il suo stesso essere, con la sete di infinito, d’immortale, e con il bisogno o il desiderio, conscio o inconscio, insito in ogni uomo, anche se non ha la fede, di richimarsi a qualche cosa o a qualcuno che lo trascende, chiama l’esistenza di Dio. (p. 15, “La salute dell’uomo oggi: un equilibrio raggiungibile,” 2001)
“Dio, infatti, creando l’uomo a sua immagine non poteva non comunicargli l’amore: ‘Tutto ciò che è nella creazione è creatura di Dio, di quel Dio che non può dare ciò che non è. E Dio è Amore. (p. 15, “La salute dell’uomo oggi: un equilibrio raggiungibile,” 2001)
Queste parole dovrebbero togliere ogni dubbio che la persona individuale possa essere in qualche modo sottovalutata quando la si considera dal punto di vista dell'unità. Si inizia anche a comprendere perché gli essere umani possano veramente trovare la loro piena realizzazione solo vivendo e interagendo in questo modo.
Infatti, per concludere questo segmento iniziale della mia presentazione, vorrei citare le parole di chiusura dell'intervento che Chiara Lubich fece all’Università di Malta, quando ricevette la laurea di dottorato Honoris Causa in psicologia:
“Psicologi di ogni tendenza affermano che gli uomini hanno bisogno di confermarsi l'un l'altro nel loro essere individuale, mediante incontri o contatti genuini. Si ha infatti bisogno di sentirsi e di venire riconosciuti "diversi" per poter essere dono agli altri. Ma per essere dono personale è necessario entrare in comunione. E qui sta, forse, la differenza tra quelli che vengono chiamati "gruppi psicologici" e la comunità cristiana come Gesù l'ha intesa. Un gruppo psicologico è composto da individui che si associano in vista di qualche finalità particolare: un club sportivo, un'associazione civile, politica o religiosa, sindacati, seminari..., e che perciò interagiscono limitatamente agli interessi comuni da perseguire, così che per tutto il resto ognuno rimane chiuso in se stesso.
La comunità cristiana non si forma invece per motivazioni estrinseche, ma per la natura dell'amore che crea comunione. E che questa sia possibile è un dato di esperienza. Che la motivazione per realizzarla venga dall'invito di Gesù "Amatevi come io vi ho amato"; "Siate una sola cosa..." e sia di natura religiosa è evidente, ma gli effetti psicologici sono straordinari: ciascuno, essendo relazione d'amore agli altri, si realizza come persona autentica.”
Riteniamo che questi concetti possano essere applicati e messi in pratica in un setting di terapia di gruppo a beneficio dei singoli membri.
Considerando ora alcuni teorici che hanno scritto di terapia di gruppo e l'hanno praticata, inizieremo a vedere come, quanto descritto da loro non sia in contrapposizione con quanto proposto da Chiara. Anzi, vi è una profonda affinità tra i due.
Caratteristiche e benefici della Tearapia di Gruppo
Alcuni tra i molti benefici della terapia di gruppo includono la possibilità di esplorare i problemi in un contesto sociale che rifletta in modo più accurato la vita reale. Essa offre l'opportunità di osservare e riflettere sulle abilità sociali (le social skills) proprie e degli altri. Nel contesto della terapia di gruppo, si può trarre beneficio sia dalla partecipazione attiva che dall'osservazione.
Irvin D. Yalom in alcuni circoli è considerato la voce più autorevole per quanto riguarda la teoria e la pratica di psicoterapia di gruppo al giorno d'oggi e nel nostro tempo. Egli descrive undici fattori primari che caratterizzano l'esperienza terapeutica nei gruppi. Molti di voi probabilmente conoscono bene questi punti, ma vi inviterei a rivederli con me, prendendoli in considerazione nel contesto di quanto abbiamo appena sentito.
Ogni paziente va in terapia con la speranza di ottenere una diminuzione del dolore e un miglioramento di vita. Poiché ogni membro di un gruppo terapeutico è inevitabilmente a un punto diverso del continuum di coping e ha un ritmo di crescita diverso, guardare come altri affrontano e risolvono in modo positivo problemi simili, ispira e fa nutrire speranza. La terapia di gruppo spesso serve come rimedio al senso di isolamento che tende ad avvolgere gli individui che soffrono di problemi psicologici ed emotivi. Offre un luogo in cui apprendere nuove informazioni e dà inoltre ai suoi membri l'opportunità unica di aiutare altri. Secondo Yalom, il social learning (apprendimento influenzato dall’osservazione o dall’interazione fra individui), o lo sviluppo di social skills di base, è un altro fattore terapeutico presente in tutti i gruppi di terapia, sia nel caso che questo sia il focus primario del gruppo che in caso contrario. Offrire un modello di communication skills (abilità di comunicazione) sane ed efficaci da parte del terapista è un altro fattore. I membri apprendono imitando e iniziano ad incorporare queste abilità. Oltre a questo, i gruppi offrono ai membri l'opportunità di migliorare le proprie capacità di relazionarsi agli altri e di vivere una vita molto più soddisfacente (gratificante). L'appartenenza a, l'accettazione e l'approvazione sono bisogni umani importanti ed universali. Per persone con problemi emozionali, la terapia di gruppo a volte fa sentire di essere veramente accettati e finalmente apprezzati. Pure la guarigione emotiva, o catarsi, ha luogo nella terapia di gruppo, con un effetto di un cambiamento duraturo. L'ultimo fattore descritto da Yalom riguarda i fattori esistenziali, in riferimento a certe realtà della vita come morte, isolamento, libertà e perdita di significato. Queste realtà possono essere esplorate senza rischio in un contesto di gruppo e una persona può essere aiutata via via ad accettare delle realtà difficili.9
Per la scuola Adleriana ogni problema è di natura sociale e relazionale, per cui la psicoterapia di gruppo è una notevole risorsa da usare per influenzare l'atteggiamento e la crescita dell'individuo. Per i seguaci di questa scuola, la forma migliore di apprendimento è l'apprendimento dall'esperienza che può aver luogo nella terapia di gruppo dove i membri imparano a comprendere e ad accettare le differenze, come pure ad identificare e comprendere pensieri e sensazioni universali.
Essi ritengono che l'equilibrio tra interesse sociale e interesse personale può essere raggiunto in modo migliore coinvolgendo il gruppo in una dinamica di dare e ricevere. “L'intero processo può essere descritto come la messa in moto di un ciclo in cui si verificano: mutamento di percezioni e convinzioni; coraggio e senso di appartenenza che consentono ai membri a provare nuovi comportamenti; coinvolgimento e “risk-taking” (prendersi il rischio) vengono ricompensati dall'accettazione e appartenenza; la paura di sbagliare è sostituita dal coraggio dell'imperfezione che riduce ansietà e insicurezza; infine, cresce il senso di autostima autofiducia nei membri del gruppo rendendoli capaci di provare e sostenere un nuovo cambiamento (Dinkmeyer & Sperry, 2000, p. 178)
Scott Simon Fehr (2003) ritiene che la terapia di gruppo sia una delle modalità terapeutiche più straordinarie. “È onesta, veritiera, e reca eccezionali benefici terapeutici per i singoli membri. Rispetto alla psicoterapia individuale, i nuovi comportamenti generati dall'esperienza della terapia di gruppo possono essere più facilmente generalizzati al ‘mondo reale’ per il fatto che il gruppo è un microcosmo della società e della famiglia” (2003, p. 37).
Virginia Satir, famosa per il suo contributo alla terapia familiare, è conosciuta per l'affermazione: “Io sono io. Io possiedo le mie fantasticherie, i miei sogni, le mie speranze, le mie paure. Io possiedo tutti i miei trionfi e successi, tutti i miei fallimenti ed errori. Io sono io e sto benissimo.” Tale atteggiamento e convinzione individualistici, tuttavia, non l'impedì di identificare la cura e l'accettazione come elementi chiave per aiutare gli altri ad affrontare le loro paure. Alla fine,
9 Irvin D. Yalom, The Theory and Practice of Group Psychotherapy, Basic Books, New York, 1985, pp. 3-18.
si può dire che era convinta che l'obiettivo finale fosse quello di aiutare le persone ad aprire il proprio cuore agli altri – stabilire rapporti.
I gruppi poi mirano a promuovere il cambiamento e la guarigione. A mano a mano che si percepiscono e si identificano pattern di rapporti, il membro del gruppo può iniziare a cambiare quei patterns che sono distruttivi e disfunzionali. Il membro del gruppo riesce sempre più a stabilire rapporti interpersonali reciprocamente soddisfacenti.
La terapia di gruppo nel trattamento delle dipendenze – Esperienza personale
La dipendenza è stata caratterizzata e definita in molti modi: come malattia mentale con una forte componente genetica; come disturbo dell'attaccamento; come malattia sociale e fallimento morale; come debolezza, come difetto di personalità: una personalità “dipendente”.
Indipendentemente dalla posizione che uno può avere nei riguardi dell'eziologia della dipendenza, è chiaro che essa sconvolge alla base l'abilità di una persona di stabilire e mantenere relazioni a lungo termine che siano soddisfacenti. Infatti, molti dei pazienti che ho in trattamento, alla domanda se abbiano avuto qualche relazione importante, rispondono che l'unica relazione che hanno mantenuto nel tempo è stata con il farmaco di scelta. La loro dipendenza ha determinato l'alienazione persino delle persone che li amano di più e provano una enorme vergona per quanto hanno fatto ai loro cari e a coloro che sono loro più vicini. Questa vergogna provoca un isolamento ancora maggiore, e li fa rifugiare nell'unica fonte di conforto “affidabile”: i loro farmaci. Così il ciclo si perpetua.
Questo senso di isolamento non solo contribuisce alla perpetuazione del processo di dipendenza, ma è anche parte della sua eziologia. In un progetto di ricerca di cui sono responsabile, sull'impatto del bullismo sull'abuso di farmaci, tra i 125 soggetti (tutti maschi tra 18 e 69 anni di età), 76% si sentivano “differenti” dai loro coetanei e 61% hanno iniziato ad usare farmaci per sentirsi che “appartenevano” in qualche modo a un gruppo. (a questo punto inserirò del materiale anneddotico da esperienze che hanno scritto).
È perciò logico che terapia di gruppo e trattamento della dipendenza siano 'alleati naturali'. Il bisogno di riparare le abilità relazionali (le relationship building skills) e di svilupparne di nuove; il bisogno di credere nella propria abilità di stabilire delle sane relazioni con i coetanei e con altre persone; il bisogno di “mettere a prova” queste abilità in un ambiente sicuro e controllato sono solo alcune delle ragioni per cui il gruppo serve in particolar modo a questo tipo di popolazione. A mano a mano che essi sperimentano il successo e un grado più elevato di comfort in queste nuove relazioni che hanno trovato, l'attrattiva di farmaci e alcool come mezzo per “sentirsi bene” perde potenza.
Le persone che hanno il problema di abuso di sostanze hanno più probabilità di astenersi e mantenere l'astinenza in un contesto di trattamento di gruppo, apparentemente per merito di benefici terapeutici e gratificanti come il senso di appartenenza al gruppo, il confronto, il supporto, la gratificazione e l'identificazione. La capacità della terapia di gruppo di vincolare i pazienti al trattamento è un asset importante perché quanto più elevata la durata, quantità e qualità del trattamento, tanto migliore la prognosi del cliente (Leshner 1997 MATCH Research Group 1997).
La maggior parte dei teorici e dei terapisti concordano sul fatto che il supporto fornito da gruppi di auto-aiuto in programmi a 12 fasi si è dimostrato efficace nell'aiutare gli individui affetti da dipendenza a mantenere l'astinenza. Ciò è di ovvia importanza, dal momento che tutti sono praticamente d'accordo sul fatto che mantenere l'astinenza è essenziale alla crescita emotiva e alla risoluzione dei problemi psicologici irrisolti e sottostanti di cui l'individuo probabilmente soffre. Si è riconosciuto il valore della partecipazione simultanea nella psicoterapia di gruppo e nei programmi a 12 fasi.
I vantaggi della terapia di gruppo rispetto ad altre modalità includono: peer support positivo; riduzione del senso di isolamento dei clienti; esempi real-life (di vita reale) di persone in via di recupero; aiuto dei peers ad affrontare l'abuso di sostanze e altri problemi esistenziali; informazione e feedback; un sostituto di famiglia che può essere più salutare della famiglia di origine del cliente; training e pratica di social skills; struttura e disciplina spesso assenti nella vita di persone che fanno abuso di sostanze; e infine speranza, supporto e incoraggiamento necessari per liberarsi dal vincolo dell'abuso di sostanze. Queste qualità “attirano i clienti a una cultura di recupero” (SAMSHA, TIP, Group Therapy, 2005, p. 1).
Nelle fasi iniziali del trattamento, in cui la persona con una dipendenza è particolarmente sensibile a chi è in posizione di autorità, è più facile sentirsi dire “la verità” da altri membri del gruppo (i peers) e questo è essenziale per abbattere il diniego e la resistenza che inizialmente costituiscono gli ostacoli principali al progresso.
La teoria dell'attaccamento, l'auto-psicologia e la teoria dell'affect regulation (regolazione affettiva) caratterizzano la dipendenza come un disordine dell'attaccamento, indotto dal tentativo mal guidato di autoriparazione dovuto a dei deficits della struttura psichica. Sotto tale prospettiva, la terapia di gruppo è stata determinata come il trattamento di scelta per i disordini da dipendenza.
È difficile a volte quantificare l'esperienza accumulatasi nell'arco di qualche decennio in una varietà di setting clinici con pazienti affetti da ogni forma di malattia mentale e disordine psicologico.
La prima domanda che rivolgo a me stessa quando avvicino un nuovo gruppo è – cosa voglio comunicare a ogni membro del gruppo riguardo al loro valore personale. Come mentzionato sopra, le persone affette da dipendenze spesso entrano in terapia con un profondo senso di vergogna e disperazione. Anche quando sono al punto di avere accettato l'idea che la dipendenza è una malattia, le conseguenze nella propria vita e nelle relazioni sono state così devastanti che i termini che usano per descrivere se stessi sono principalmente di auto-disapprovazione/autodisprezzo. Prima di poter imparare a essere un “dono per gli altri”, devono credere di avere qualcosa da dare. Se una persona si sente vuota, non può “svuotarsi” come abbiamo detto prima, per poter ricevere dall'altro. Perciò il mio primo compito è quello di comunicare a ciascuno, nella misura in cui uno è aperto ad accoglierlo, la certezza che la sua vita ha un valore, e che ciascuno di loro è insostituibile. Io uso spesso l'immagine del mosaico fatto di migliaia di piccole tessere, di per sé insignificanti. Ma se una manca, il mosaico è incompleto. A mano a mano che il processo terapeutico procede, un po' alla volta il paziente si libera dai condizionamenti interni ed esterni e trova che la propria realizzazione non sta nel paragonare la propria situazione a quella degli altri, quanto piuttosto nell'identificare la propria particolare e insostituibile “tessera” nel mosaico della vita. Questo li aiuta a tirarsi fuori e progredire, non ignorando o negando il passato, ma credendo che il cambiamento è possibile.
Il vantaggio di lavorare in gruppi con persone che soffrono di disordini da dipendenze sta anche nel fatto che, trovandosi insieme con altri pazienti dipendenti in via di riabilitazione, scoprono di non essere soli. Questo in sé e per sé è terapeutico. Un altro punto è il fatto che la spiritualità non è qualcosa di estraneo a loro. La maggior parte delle persone con cui ho lavorato è fermamente convinta che senza una dimensione spirituale della vita, non ce la farebbero mai a sostenere il percorso della riabilitazione. È consigliato, infatti, ai leader dei gruppi di esplorare insieme al gruppo l'importanza della vita spirituale. Per clienti a cui manca una connessione significativa con qualsiasi cosa oltre se stessi, il gruppo può essere il primo passo verso la ricerca di un significato o il senso di appartenenza a qualcosa più grande del "sè". Il ruolo del clinico nella terapia di gruppo è semplicemente quello di creare un ambiente all'interno del quale poter fare esperienza di legami di questo tipo, che trascendono l'ego.
La mia esperienza ha confermato che in un setting di terapia di gruppo questi tre elementi – il valore di ciascun individuo, l'essere simili e non soli e l'indispensabilità di spiritualità – possono combinarsi insieme per portare trasformazioni radicali, life-changing (che fanno cambiare la vita).
Concluderei questa breve presentazione solo con un'osservazione: che il successo dell'uso della psicoterapia di gruppo, evidente negli ultimi decenni, è molto probabilmente dovuto anche al fatto che essa risponde a un bisogno fondamentale insito nella natura della persona umana, creata, come abbiamo affermato sopra, ad immagine e somiglianza di un Dio che è uno e trino.
È necessario ora che esploriamo questi concetti più in profondità e cerchiamo di tradurli in teoria psicologica capace di illuminare altri e di trovare applicazione nella pratica della psicoterapia di gruppo a beneficio di molti.
Bibliografia:
1 Araujo, Vera, Talk to Gen 2 Congress, “The charism of unity and sociology”, December 21, 1995.
2 Merriam-Webster’s Collegiate Dictionary, 2001, p. 514.