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È il fondamento di una società caratterizzata dalla reciprocità. Anche nei luoghi di lavoro si rivela un elemento vincente.La definirei una festa di strizzacervelli, e mi perdoneranno l’irriverenza i colleghi psicologi, psichiatri e operatori della salute mentale.

L’occasione era seria, gli interventi sono stati di elevata qualità e l’organizzazione impeccabile: l’impressione emersa dal terzo congresso internazionale di Psicologia e Comunione, che si è svolto a Castel Gandolfo, è che la riflessione sul contributo della spiritualità dell’unità alle scienze psicologiche abbia fatto notevoli passi avanti dal quel primo incontro, nel 1999, quando l’università di Malta concesse a Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, la laurea honoris causa in Psicologia. I congressisti erano centoquaranta, da venti Paesi dei cinque continenti e la diversa provenienza ha aiutato il dialogo ad uscire dall’autoreferenzialità della psicologia, ancora un po’ troppo “occidentale”, che nella realtà globalizzata di oggi mostra molti dei suoi limiti.

Ma come definire Psicologia e Comunione? «Non vogliamo dare niente che non sia verificabile dalla nostra esperienza. Per questo – spiega Simonetta Magari, psichiatra e responsabile della Commissione Centrale di Psicologia e Comunione –il primo intento è stato fare esperienza di comunione fra noi. Centrale, nel nostro lavoro attuale, è lo studio della relazione di comunione, che include la reciprocità, così come è conosciuta dalla psicologia, ma nel contempo la supera, comprende altro. Per questo, lo studio della relazione di comunione richiede un’analisi accurata, attraverso il confronto e il dialogo. Questa volta si è partiti dal dono», che non ha una caratterizzazione particolare in psicologia e quindi rappresenta un elemento stuzzicante di novità.
 
«Il dono – afferma il professor Garcia Villamisar, che con la dottoressa Del Pozo dell’Universidad Complutense de Madrid (Spagna) è intervenuto sulla relazione esistente tra stile di vita e benessere psicologico –, rende possibili le relazioni, che siano interpersonali, familiari, lavorative, anche spirituali. Poi intervengono la capacità di autoregolazione e l’accettazione di sé, ma le relazioni positive, che contribuiscono all’identità personale e a dare senso alla nostra vita, sono poggiate sul dono».
 
Nelle realtà organizzative, spiega Salvatore Zappalà, professore associato all’Università di Bologna, «c’è spesso una tendenza spontanea alla disponibilità reciproca, pensiamo a colleghi che si scambiano i turni, a collaborazioni o scambi tra uffici e reparti in periodi di lavoro intenso, o al fornire indicazioni su come risolvere piccoli e grandi problemi di lavoro. In taluni casi questa disponibilità viene riconosciuta dai dirigenti, che la incoraggiano attraverso le pratiche quotidiane o la carta dei valori. C’è una grande attenzione anche della psicologia del lavoro e delle organizzazioni verso quei fattori – umani e ambientali – che contribuiscono a rendere il posto di lavoro un’esperienza significativa e di qualità. Le buone relazioni hanno sicuramente un posto importante. È vero tuttavia che spesso l’esperienza del “dono”, se vogliamo usare questo termine, è implicita, non espressa, e ci accorgiamo di essa quando manca. Probabilmente c’è spazio per pensare ad interventi che aumentino la consapevolezza di queste dinamiche nei dirigenti e nei lavoratori, rendendo così l’ambiente di lavoro più positivo».
 
La prospettiva di Psicologia e Comunione può essere utile anche per aiutare le coppie in crisi, come hanno sperimentato Manuela Partinico e Paola Canna, psicologhe e psicoterapeute. «Un aspetto particolare del nostro modello di lavoro è di assumere la difficoltà relazionale tipica di ogni coppia. La premessa dell’amore reciproco diventa per noi la chiave che ci permette di trasformare questa sofferenza nella positiva esperienza relazionale mancante, in cui la coppia può riflettersi. Così, ad esempio, all’incapacità di comprendersi, vissuta nella coppia, contrapponiamo l’esperienza dell’ascolto profondo e autentico tra di noi; al prevaricarsi l’un l’altro, l’attenzione a farci spazio reciprocamente negli interventi terapeutici; e così via. Questo atto di “rovesciamento del limite” mostra così il suo importante potenziale terapeutico».

Insomma, sono molteplici le prospettive emerse e le nuove piste di studio e di osservazione che si aprono, per un lavoro che sarà tanto più interessante per la comunità scientifica e per tutti, quanto più riuscirà a coltivare il “metodo” della comunione. L’importanza di un tale “metodo” è stata evidente durante la tavola rotonda con i professori intervenuti e nello schietto dialogo finale con GianVittorio Caprara, uno dei massimi esperti di psicologia della personalità. Riconoscere la diversità delle idee altrui, accogliere la specificità di ogni persona che incontriamo e – ove possibile – farlo reciprocamente, è il modo migliore perchè una nuova visione delle cose emerga, più ricca e completa, più soddisfacente per tutti, più utile a sé e agli altri.
Come ha risposto Irene Lombardo, giovane neolaureata, alla domanda su come continuare l’esperienza di questi giorni: “Il bello viene adesso”.

FONTE: CITTÀ NUOVA

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