Psy

Da molti anni mi occupo di coppie sia come consulente che come psicoterapeuta. Ho continuato a farlo, in vari modi, anche durante i momenti più convulsi e drammatici della pandemia. È stata una esperienza, umana e professionale, che mi ha molto arricchito e che adesso mi piace condividere, almeno nei suoi aspetti più generali, non solo di natura psicologica, ma anche sociale e antropologica.

I sessanta giorni di isolamento coatto, che tutti abbiamo vissuto, hanno avuto un andamento molto variabile. I primi giorni sono trascorsi con la gioia di poter stare a casa con la propria famiglia, senza l’assillo dell’orologio, con tanto tempo a disposizione per fare le cose più piacevoli e creative. Dopo, però, è prevalsa la sensazione opprimente di non vedere la luce in fondo al tunnel, di non potersi più riappropriare della “normalità”.  Per le coppie la coabitazione forzata è apparsa, fin da subito, in tutta la sua evidente ambiguità. Sarà una preziosa occasione per ritrovare l’intesa perduta? Oppure sarà un pericoloso pretesto per acuire ferite già aperte? Insomma, si è chiesto qualcuno, nei prossimi mesi nasceranno più bambini o ci saranno più divorzi?

Ai primi di marzo, quando ogni attività economica si è di colpo fermata, circolava una battuta non molto distante dalla realtà: “Con il lockdown gli unici a lavorare e fare tanti soldi saranno gli avvocati divorzisti”. Se per un verso lo “stare tutti a casa” si è rivelato un modo per rinsaldare i propri vincoli di coppia, per rivitalizzare i propri rapporti familiari, per un altro verso è stato una sorta di pericoloso test che ha messo alla prova non pochi matrimoni. Costretti improvvisamente a vivere in pochi metri quadrati, privati della consueta rete di rapporti sociali, degli abituali riti legati al lavoro, per tanti la coabitazione si è profilata subito come una esperienza molto insidiosa, non solo nel rapporto con i figli, ma in particolare nella relazione con il partner. La convivenza “forzata”, per un tempo indeterminato e in un contesto quasi surreale, fatto di paura e incertezza, si è subito trasformata per molte coppie in una esperienza stressante.

Pare che in Cina, nella provincia di Hubei, l’epicentro dell’epidemia, si sia registrato un notevole aumento delle violenze domestiche e le richieste di divorzio siano aumentate del 30 per cento. Benché non ci siano ancora dati statistici affidabili, molti esperti affermano che qualcosa di molto simile sia avvenuto in queste settimane anche nei paesi del mondo occidentale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, durante la pandemia le violenze domestiche nel mondo sono triplicate rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Nel solo mese di marzo in Italia pare che le richieste di aiuto delle donne ai centri antiviolenza siano aumentate del 75%. Sono dati molto preoccupanti, che ci segnalano un evidente stato di disagio nella coppia correlato alla pandemia e alle restrizioni sociali che ne sono conseguite. Di certo la perdita del lavoro o le sopraggiunte ristrettezze economiche hanno acuito preesistenti elementi di conflitto in molte coppie già in crisi. Inoltre, come nel film “Perfetti sconosciuti”, sembra che la quarantena abbia portato alla luce come non mai l’infedeltà di coppia, che in tempi normali risulta più facile nascondere.

Se nei terremoti a crollare per prime sono le case con una struttura fragile, in modo non dissimile, anche nella convivenza forzata, imposta dalla pandemia, ad avere più problemi pare siano state soprattutto le coppie con “crepe” esistenti già da prima. Ma questa sarebbe forse una conclusione fin troppo superficiale e affrettata. Di fatto ad avere difficoltà di varia natura sono state un po’ tutte le coppie, travolte da una improvvisa quanto traumatica discontinuità con la vita di prima. Il legame coniugale si nutre di tanti elementi e uno fra i più importanti riguarda, senza alcun dubbio, la sessualità, la corporeità. Il virus ha modificato non poco l’intimità della coppia, ha creato diffidenza e paura, ha indotto fobie e bisogno di controllo. La vita di coppia è fatta di carezze, di baci, di abbracci, ma ad un tratto tutto questo è diventato “pericoloso”. È bastata qualche linea di febbre, è stato sufficiente il prolungarsi di un banale raffreddore per creare sospetti, per suscitare ostacoli invalicabili. Ciò che prima era scontato ad un tratto è diventato minaccioso. A volte, in questo clima relazionale fragile, si sono insinuati sospetti e dubbi, si sono create distanze ed equivoci. Sarebbe stato questo il momento in cui le parole avrebbero dovuto prendere il posto degli abbracci, gli sguardi avrebbero dovuto supplire al tatto; ma spesso, per superficialità o distrazione, tutto questo non è accaduto; sicché il calore dell’intimità ha ceduto il posto alla freddezza dell’indifferenza, della noia, che lentamente hanno allontanato, facendo affiorare fra i due verità taciute, tratti caratteriali occultati, parti di ognuno tenute in ombra.

Tutte le coppie, comprese quelle più affiatate e solide, condividono regole non scritte, hanno tempi e spazi comuni, ma anche ambiti di vita marcatamente distinti, all’interno dei quali ciascuno può sperimentare una propria dimensione più personale e privata. La complessa alchimia fra condivisione e distinzione, fra appartenenza e differenza, costituisce in qualche modo l’essenza stessa della vita di coppia e da essa dipende la buona riuscita di un matrimonio. Per costruire e ricomporre un tale delicato equilibrio, ogni coppia impiega molto tempo e mette in campo molte energie, tanta pazienza e soprattutto molto amore, fatto di sottile intelligenza e di delicata attenzione. Ogni partner impara a organizzare la propria vita in base alla presenza e all’assenza dell’altro, facendo leva su reti relazionali diverse o condivise. Ma la coabitazione forzata ha fatto saltare ogni armonia e ha fatto emergere aspetti dell’altro del tutto imprevisti. Una nota coppia di attori americani, sposati da quasi venticinque anni, in una recente intervista ha raccontato come la coabitazione imposta dalla pandemia li abbia resi tra loro estranei. Tuttavia, dopo un primo smarrimento, hanno fatto di questa dolorosa frattura una opportunità unica per imparare di nuovo a conoscersi, a scegliersi, ad accogliersi, trasformando così la rottura in spazio di riparazione e il conflitto in luogo di ri-conoscimento. La loro è una “strategia adattiva” che, di certo, potrebbe risultare vincente anche per noi.

Pietro Andrea Cavaleri*

 

*Psicologo e Psicoterapeuta. Didatta presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Istituto di Gestalt H.C.C. Italy Siracusa-Palermo-Milano.

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